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Il principe romano e il mancato assegno ai figli: «Vivo in un castello ma sono povero»

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Caduto a suo dire in disgrazia, il principe Massimo Brancaccio Fabrizio, capostipite della storica famiglia dei Massimo, finisce a proces...

Caduto a suo dire in disgrazia, il principe Massimo Brancaccio Fabrizio, capostipite della storica famiglia dei Massimo, finisce a processo in un’aula del tribunale monocratico di Roma per il mancato versamento dei mille euro mensili dovuti ai tre figli come obbligo di mantenimento. Violazione dell’obbligo di assistenza è il capo d’imputazione nell’accusa sostenuta dal pm Annamaria Orlando.

«Vivo in un castello ma sono povero»

«Vivo in un castello. Ma sono povero. Sono iscritto al centro per l’impiego, ma non mi hanno mai chiamato», ha raccontato in aula, come riporta Il Messaggero. In arretrato ci sarebbero quindici anni di versamenti, a partire dalla data del divorzio avvenuto nel 2003. I tre eredi della casa nobiliare sono ora maggiorenni. Contro il principe ci sono anche due distinti provvedimenti del tribunale civile proprio per aver fatto venir meno i mezzi di sostentamento fissati dal giudice per i suoi figli.

«Ho smesso di lavorare per motivi di salute»

Il principe Massimo Brancaccio, 55 anni, si è dichiarato indigente, spiegando così le cause della sua caduta in povertà: «Sono un fisico nucleare. Lavoravo all’istituto nazionale di fisica, poi mi sono dimesso nel 1999 per motivi di salute. Ora non lavoro, neanche in nero. Vivo grazie alla pensione di mia madre nel castello di famiglia. Lei prende poco più di mille euro al mese». A denunciarlo è stato Ilaria Bottini, l’ex moglie, origini nobili anch’essa, che per far fronte alle difficoltà economiche sarebbe arrivata a vendere tre appartamenti di sua proprietà.

«Non possiamo vendere nulla»

Così, inevitabilmente, il processo appena iniziato finirà per approfondire anche le disponibilità del principe, alla cui famiglia sono riferibili Villa Massimo sulla Nomentana, palazzo Massimo dell’Ara Coeli, e quello in piazza dei Cinquecento. «Non possiamo vendere nulla. I beni ereditati non mi producono alcun reddito», si è difeso ancora il principe, erede di una famiglia già nota nel XIV secolo e che personalmente vanta anche il titolo di principe di Arsoli e di Triggiano e di Roviano.

5 ottobre 2018 | 11:35

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by Redazione Roma via Corriere.it - Homepage

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